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Uniti per il Myanmar

Aiuta chi soffre tra guerra e speranza.

Nei primi 9 mesi del 2024, erano 466 i civili uccisi dai militari birmani nel corso della guerra civile. A inizio dicembre, l’Alto commissariato per i diritti umani dell’ONU (OHCHR), ha riportato che, dall’inizio del conflitto nel 2021, le vittime potrebbero essere più di 6000. Un aumento preoccupante degli omicidi di massa, che hanno coinvolto di nuovo i Rohingya, già vittime di persecuzione in passato. E anche la Chiesa birmana.

In Myanmar è in corso un conflitto civile da quando, nel 2021, l’esercito birmano (Tatmadaw) ha attuato il golpe militare che ha chiuso la finestra democratica, aperta dalla ex leader Aung San Suu Kyi dal 2015 al 2020. Dopo la sua scarcerazione, Papa Francesco le aveva offerto accoglienza in Vaticano. Il pontefice si è impegnato più volte per sensibilizzare sulla situazione del Paese.

A ormai quattro anni dal colpo di stato, la giunta militare continua a compiere violenze sulla popolazione civile, dalla quale sono nate diverse milizie di opposizione, come l’Arakan Army (AA). Gruppo di fede perlopiù buddhista, l’AA controlla il confine con il Bangladesh, dove migliaia di Rohingya fuggirono durante le persecuzioni del 2016-17. E proprio i Rohingya, in gran parte di religione musulmana, sono ancora oggi la minoranza più a rischio, perché vivono nelle zone della regione del Rakhine (a ovest del Paese) che l’AA ha riconquistato. Il Tatmadaw ha infatti costretto anche con la forza i civili Rohingya a combattere in gruppi armati contro l’AA, che in risposta ha preso di mira il gruppo etnico.

Della situazione si parla molto poco, tant’è che non è nemmeno stata citata dalla Corte penale internazionale (CPI), che a fine novembre 2024 ha emesso un mandato d’arresto internazionale per il generale Min Aung Hlaing, responsabile del colpo di stato. L’ordine di cattura riguarda infatti solo i crimini commessi tra il 2016 e il 2017.

La situazione non è semplice neanche per le parrocchie della Chiesa cattolica birmana, come ha raccontato ad AsiaNews il vescovo Celso Ba Shwe. Nel novembre 2023 è stato costretto a lasciare la diocesi di Loikaw (stato del Kayah), perché la città è stata rasa al suolo. Molti cittadini sono stati costretti a rifugiarsi nelle foreste, dove ora vivono da sfollati. La città è pericolosissima perché costellata da mine antiuomo, che in Myanmar hanno causato da sole almeno mille vittime nel 2023. Gli unici a tornare a Loikaw periodicamente sono i membri della resistenza giovanile, le Forze di difesa popolare (PDF), in cerca dei loro famigliari. Mons. Ba Shwe continua ad assistere gli sfollati, dando vita anche a scuole informali per i bambini, mentre la Caritas fornisce i beni di prima necessità, che comunque scarseggiano a causa delle condizioni atmosferiche poco favorevoli. Per questo, ha spiegato mons. Ba Shwe, “le persone che vivono qui dipendono dalle donazioni internazionali e dalla bontà dei residenti locali che li ospitano”. Nonostante le speranze che il vescovo e la comunità nutrono grazie alla fede in Dio, è necessario aiutare ulteriormente questa popolazione, che da anni vive nella precarietà più totale.


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4 – 5 – 6 Gennaio 2025
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